È ufficiale. Dalla mezzanotte dello scorso 31 gennaio il Regno Unito non fa più parte dell’Unione Europea. Quella notte migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Londra e, in un vero e proprio giubilo, hanno seguito il countdown proiettato su un maxi schermo e sulla facciata del n°10 di Downing Street. Si chiude così la prima fase di un divorzio senza precedenti, a tre anni e sette mesi da quel 23 giugno 2016 che vide il 51,9% dei britannici votare a favore della Brexit.
Ma le trattative non sono finite. Si apre ora un periodo di transizione che durerà fino al 31 dicembre 2020, in cui il Regno Unito sarà soggetto alla legislazione dell’UE, avrà ancora accesso al mercato unico e continuerà a contribuire al bilancio dell’UE, sebbene non avrà più rappresentanza nelle istituzioni europee e non sarà più in grado di influire sulle nuove leggi dell’Unione.
Il Withdrawal Agreement appena entrato in vigore riguarda principalmente la protezione dei diritti dei cittadini sia europei che britannici che vivono nella sponda opposta de La Manica, gli impegni finanziari del Regno Unito assunti come Stato membro, nonché le questioni di frontiera. Ora che il Regno Unito è a tutti gli effetti un paese terzo, molti nodi cruciali dovranno essere discussi in questa fase per dare forma alle nuove relazioni tra le due entità.
Uno dei punti chiave riguarderà le condizioni e i principi per il commercio futuro, comprese le questioni relative a possibili tariffe, standard di prodotto, condizioni di parità e risoluzione delle controversie. Ed è proprio su questo che il Primo Ministro Boris Johnson ha fatto la voce grossa nel discorso pronunciato ieri. Il commercio globale ha bisogno “di un Paese pronto a togliersi gli occhiali da Clark Kent, saltare nella cabina telefonica ed emergere con il suo mantello, come il supereroe potenziato del diritto delle popolazioni della Terra a comprare e vendere liberamente tra loro”. “Il Regno Unito è pronto per quel ruolo”, ha dichiarato il premier britannico, affermando la volontà di raggiungere un accordo di libero scambio che “non richiede alcun allineamento alle regole e agli standard” UE “sulla politica della competizione, i sussidi, la protezione sociale, l’ambiente o nulla di simile”.
La Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, di contro, ha dichiarato che sebbene l’UE abbia “vari modelli di accordo di libero scambio – col Canada, il Giappone Singapore, Norvegia, Australia”, “ciascun modello rappresenta un’offerta diversa: ciascuno di questi modelli comporta un equilibrio di diritti e doveri. Non esiste una corsa gratis” per accedere “al mercato unico”. “Nel negoziato le due parti faranno ciò che è meglio per loro – ha aggiunto Von der Leyen -. L’Ue proteggerà gli interessi dei cittadini e delle aziende europee.”
Le parti sembrano dunque ben salde sulle loro posizioni, e si prospetta una nuova fase negoziale tutt’altro che facile ma il tempo per negoziare non è molto. Il periodo di transizione può essere esteso su richiesta una volta sola, e la decisione in tal senso deve essere presa prima del 1 ° luglio 2020. Qualora entro la fine del periodo di transizione non dovesse essere raggiunto nessun accordo, gli scambi commerciali tra Regno Unito e UE sarebbero allora regolati in base alle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, con conseguenze che non gioverebbero a due economie fortemente collegate integrate.