Nei pressi di Kanyamahoro, all’interno del parco dei monti Virunga in Congo si è consumato ieri 22 febbraio l’ennesimo attacco compiuto da bande armate di ribelli. Questa volta le vittime sono tre: l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere in servizio Vittorio Iacovacci e l’autista del World Food Programme Mustapha Milambo. L’attacco, che per dinamiche e modalità potrebbe far pensare ad un’operazione studiata e ben programmata (di due veicoli del World Food Programme solo quello in cui viaggiava l’ambasciatore italiano è stato colpito), ha riportato alla memoria gli innumerevoli episodi di violenza che si sono verificati in quei territori.
La zona, infatti, è ben nota per essere teatro di frequenti scontri, attacchi e rapimenti spesso compiuti per mano delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR), una milizia nata intorno agli anni 2000 composta dai ribelli Hutu fuggiti dal Ruanda e che opera nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Ma perché tutti questi episodi di violenza? Stando alle fonti più attendibili, l’area è particolarmente ricca di minerali preziosi i quali, essendo forte la necessità di procurarsi mezzi di sopravvivenza, vengono utilizzati come merce di contrabbando e come strumento per il controllo del territorio da parte dei miliziani.
RICCHEZZE NATURALI: FONTE INESAURIBILE DI CONFLITTI E VIOLENZA
La smisurata abbondanza di materie prime di cui è ricca la Repubblica Democratica del Congo rappresenta per il paese una delle principali cause di guerre, conflitti e sofferenze di ogni tipo per la popolazione. Nonostante la frammentazione, alcuni gruppi armati dominano il conflitto. In particolare, sono quattro i gruppi armati: le Forze Democratiche Alleate (ADF) che rappresentano una minaccia particolare in quanto sono responsabili della maggior parte delle uccisioni di civili (circa il 37%), le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR), l’Alleanza dei patrioti per un Congo libero e sovrano (APCLS) e l’NDC-R, insieme all’esercito nazionale sono responsabili di oltre un terzo degli attacchi e della metà dei civili uccisi.
La questione è sempre l’accaparramento e il controllo delle sue ricchezze naturali: diamanti, coltan, oro, cobalto, rame, niobio, ma anche legnami pregiati, patrimonio di biodiversità e una enorme vastità di terre coltivabili. Un vero e proprio patrimonio immenso che da sempre scatena gli appetiti internazionali e le lotte di potere interne. Gran parte della violenza del Congo, in particolare nella zona orientale del paese, è infatti guidata dal bisogno dei gruppi armati di sopravvivere estraendo risorse e combattendo per il territorio. Purtroppo, gli interventi esterni che hanno tentato di interrompere questa situazione si sono rivelati fallimentari. Le stesse Nazioni Unite, con le loro missioni di peacekeeping tra cui ricordiamo soprattutto la missione Monusco, hanno dovuto ridimensionare la portata dei loro interventi in assenza di programmi di smilitarizzazione funzionanti ed efficaci. Ad oggi, infatti, il loro intervento è politicamente marginalizzato e si limita in gran parte a fornire supporto militare al governo e a riferire sulle violazioni dei diritti umani.