Sono giorni importanti quelli che ci separano dalla strada che prenderemo. Più o meno 7 anni fa eravamo allo stesso punto ma con una crisi sanitaria ed una economica in meno, forse meno responsabilità per le future generazioni e indubbiamente meno risorse a disposizione per essere parte del cambiamento. A ricordarcelo è stata anche la Presidente Ursula von der Leyen, intervenuta all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Bocconi di Milano. Con il pensiero rivolto ai giovani, vista l’occasione, ha ricordato la necessità di apportare riforme e di farlo con il giusto approccio strategico verso investimenti necessari. Per un paese come l’Italia, abituata ad operare in emergenza, significa imparare a programmare individuando i settori strategici in cui intervenire e soprattutto porsi degli obiettivi pertinenti, fattibili e sostenibili. Spostare il focus dell’attenzione sul medio-lungo termine è la sfida.
Un metodo di lavoro, una volontà di cambiamento, che deve necessariamente trarre spunti di riflessione dagli errori del passato. Il recente rapporto annuale della Corte dei Conti ci consegna un’Italia nel ciclo 2014-2020 in grado di sottoscrivere l’accordo sul programma con Bruxelles solo nell’ottobre 2014 e di nominare solo nel 2018 le Autorità di gestione nazionali e regionali, quindi in affanno già in partenza. Dei 72 miliardi a disposizione dell’Italia per la programmazione 2014-2020, fino al 2019, ne erano stati assorbiti dall’UE poco meno di 22, circa il 30%, contro una media europea del 40%. Si sale a 29 miliardi nel 2020 raggiungendo circa il 40%. Un salto, avvenuto in emergenza e dovuto all’emergenza che ha permesso con l’intervento del Ministro del Sud Provenzano di riprogrammare più di 10 miliardi di fondi strutturali europei.
Dati alla mano, risulta più che comprensibile la posizione di Confindustria che con il Presidente Bonomi ha mostrato preoccupazione per i ritardi nel concepire una strategia di sviluppo sostenibile. Per il mondo produttivo, ma non solo, il momento del cambio di passo è ora e perdersi negli stessi errori avrebbe risvolti importati a livello sociale. I 209 miliardi di Next Generation EU, in particolare, rappresentano una opportunità senza precedenti per realizzare un programma importante di investimenti che rilanci la competitività del sistema paese Italia nella fase di ripresa post-pandemia.
La necessità è di trasformare la crisi in costruzione, le criticità in opportunità. Il rischio è di perdere l’occasione non facendosi trovare pronti a coglierla.
Il momento storico lo consente e le risorse economiche che andranno a sommarsi alle rimanenze del ciclo attuale ed alle risorse della programmazione 2021-2027, anche. L’Italia si prepara dunque ad affrontare una sfida complessa, dove il problema, almeno in apparenza, sembra essere quello dell’abbondanza. Fino al 2023 dovrà gestire risorse europee appartenenti a tre differenti regimi di spesa: il bilancio 2014-2020, i 209 miliardi di Next Generation EU e il bilancio 2021-2027. E se da una parte il Ministro Patuanelli ha parlato già di fase avanzata per l’utilizzo del Recovery fund, le indiscrezioni parlano di un esecutivo che di fronte all’emergenza del programmare si prepara ora a mettere in campo una cabina di regia per i fondi UE composta da governo, Mef, Mise, 6 manager, una task force di ben 300 persone ed ANAC come certificatore dei progetti. Illuminante anche la proposta pervenuta dai professori della LUISS: “chiamiamo i cervelli fuggiti per gestire i fondi UE”. Magari investire sui giovani ancora presenti nei nostri celebri atenei per dargli un futuro stabile sarebbe stata più lungimirante come idea, forse più in linea con le stesso Next Generation EU. Con il 2021 alle porte e una scelta strategica ancora da affrontare, arriveremo in tempo per partecipare al cambiamento?