La rivoluzione tecnologica sta causando cambiamenti significativi nel mondo del lavoro. Alcuni lavori rischiano di essere persi, altri vengono trasformati e ne vengono creati di nuovi. Allo stesso tempo, si evolvono anche le modalità in cui il lavoro viene svolto. Di conseguenza le competenze di cui abbiamo bisogno stanno cambiando.
Come emerge dal report “The changing nature of work and skills in the digital age” (https://bit.ly/2kKrvSz) realizzato dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea, tutte le professioni che si sono ampliate negli ultimi anni richiedono una combinazione di uso delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC/ICT) e abilità non cognitive; mentre le professioni che richiedono scarse competenze digitali e una scarsa interazione sociale ed emotiva sul lavoro sono diminuite. Nel prossimo decennio non si prevede un’inversione di tendenza, pertanto è molto probabile che le competenze digitali e non cognitive saranno maggiormente richieste.
La competenze digitali implicano l’uso sicuro, critico e responsabile delle tecnologie digitali per l’apprendimento, il lavoro e la partecipazione alla società. Ciò include l’alfabetizzazione informatica e all’uso dei media, la creazione di contenuti digitali (compresa la programmazione), la sicurezza (incluso il benessere digitale e le competenze relative alla sicurezza informatica), e le questioni relative alla proprietà intellettuale. Le abilità non cognitive si riferiscono tra l’altro a: apertura mentale, apertura all’apprendimento e al cambiamento, flessibilità, curiosità, innovazione, creatività, imprenditorialità, resilienza, pianificazione, organizzazione, responsabilità, persistenza, lavoro di squadra, comunicazione, iniziativa, socievolezza, empatia, collaborazione, controllo emotivo e positività.
Per rispondere adeguatamente alla domanda di tali competenze, i sistemi di istruzione dovrebbero evolversi anch’essi, non concentrandosi più esclusivamente sulla diffusione del sapere, ma fornendo anche le competenze non cognitive che aiuterebbero le persone ad anticipare i cambiamenti e ad essere più flessibili, creative e resilienti sul lavoro. Tuttavia, l’insegnamento delle abilità non cognitive sembra essere stato trascurato in tutta l’UE nonostante la sua efficacia.
La rapida evoluzione tecnologica e la conseguente trasformazione del mondo del lavoro richiede anche un cambiamento nel modo in cui vengono fornite le competenze. L’acquisizione della conoscenza non potrà più passare solo dall’educazione formale, ma si richiederà l’implementazione di un approccio di apprendimento permanente. Il cosiddetto lifelong learning significa che l’apprendimento avviene in contesti diversi, nel corso della vita. Si svolge non solo nelle scuole e nelle università, ma anche attraverso la formazione informale (apprendimento derivante da attività quotidiane legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero) e non formale (apprendimento incorporato in attività pianificate non esplicitamente designate come apprendimento). Cresce infatti il consenso sui vantaggi di dare maggiore rilievo a quelle abilità e competenze acquisite nella vita e attraverso l’esperienza lavorativa, e in tale prospettiva viene sempre più riconosciuto il potenziale dell’apprendistato nel ridurre la discrepanza delle competenze. Inoltre, le innovazioni digitali nell’ambito dell’istruzione, come i corsi online aperti su larga scala (Massive Open Online Courses – MOOC), hanno il potenziale di sopperire ai gap dell’istruzione formale e potrebbero essere utilizzati come strumento di apprendimento permanente per riqualificare e potenziare le persone, permettendo loro di acquisire competenze professionali o persino specifiche in modo flessibile e personalizzato.
La costante riqualificazione e l’aggiornamento dei lavoratori non può però prescindere da una maggiore cooperazione tra le parti interessate a livello locale. Il report del JCR fa riferimento ad alcune esperienze virtuose: ad esempio, alcune regioni stanno aumentando la cooperazione tra il sistema educativo e i datori di lavoro coinvolgendo questi ultimi nella progettazione dei curricula degli studenti o impegnando entrambi nei programmi di formazione in aula e in azienda. Altre regioni hanno coinvolto nella definizione dei curricula i lavoratori e le associazioni di lavoratori. Altre ancora stanno identificando il loro potenziale attraverso l’impegno locale con le università e la ricerca.