Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies (Giss) della Nasa ci ricorda che “il 2018 è stato ancora una volta un anno estremamente caldo” e che a soffrire maggiormente sono state le regioni artiche, che nel 2018 hanno subito una perdita continua di ghiacci. A partire dal 1880, aggiunge l’esperto, la temperatura media globale è salita di circa 1 grado: il fenomeno è dovuto in gran parte all’aumento delle emissioni di anidride carbonica e dei gas serra prodotti dalle attività umane.
Secondo i dati di Nasa e NOAA, 18 dei 19 anni più caldi della storia si sono succeduti a partire dal 2001. Questo fa capire come il riscaldamento globale non sia più una prospettiva futura, ma qualcosa di già tangibile oggi. “Gli effetti sul lungo termine vengono già avvertiti: nelle inondazioni, nelle ondate di calore, nelle precipitazioni intense e nei cambiamenti dell’ecosistema”, continua Schmidt. Lo studio della Nasa ha preso in esame la temperatura superficiale del pianeta registrata da 6.300 stazioni meteorologiche, osservatori marini e stazioni di ricerca in Antartide. Processo di analisi leggermente diverso invece per il rapporto NOAA, che si basa comunque sugli stessi dati grezzi.
La World Meteorological Organization (WMO) osserva che la temperatura media globale della superficie nel 2018 è stata di circa 1°C sopra i livelli preindustriali (1850-1900). “Il 2018 è al quarto posto tra i più caldi che siano stati registrati”, afferma l’agenzia delle Nazioni Unite. “Con 1,2°C in più rispetto ai tempi preindustriali, l’anno 2016, caratterizzato dall’influenza di un potente Niño, mantiene lo status dell’anno più caldo della storia. Nel 2015 e 2017, la differenza di temperatura media rispetto ai valori preindustriali era di 1,1°C”. L’Onu prende a riferimento il 1850, data del debutto di un rilevamento delle temperature sistematico. Ma “è molto più importante guardare all’evoluzione della temperatura a lungo termine che le classifiche tra i diversi anni”, ha detto il segretario generale del WMO Petteri Taalas ricordando che negli ultimi 22 anni, ci sono stati i 20 più caldi mai registrati. “Il clima estremo o ad alto impatto ha colpito innumerevoli Paesi e milioni di persone l’anno scorso” e ha continuato affermando che “la comunità internazionale deve dare la massima priorità alla riduzione delle emissioni di gas serra e alle misure di adattamento climatico”.
Le prospettive per il futuro non aiutano. Il 2019 non sembra migliore dei precedenti, ha avvertito il WMO, che pubblicherà il suo rapporto sullo stato del clima globale a marzo. L’Australia ha avuto il gennaio più caldo di sempre, proprio mentre una grave ondata di gelo ha colpito parti del Nord America. “L’ondata fredda negli Stati Uniti orientali non contraddice certamente la realtà dei cambiamenti climatici”, ha detto Taalas. “L’Artico si sta riscaldando ad un ritmo due volte più veloce della media globale. Ciò che accade ai poli non rimane confinato ai poli, ma influenza il tempo e il clima in altre regioni, dove vivono centinaia di milioni di persone”, ha detto. Infatti la situazione nel nostro paese è critica e le previsioni, senza un cambio di marcia repentino delle istituzioni e dei governi nazionali e internazionali, possono essere catastrofiche.
Il livello del mar Mediterraneo si sta innalzando velocemente a causa del riscaldamento globale. Il fenomeno dell’innalzamento del mare riguarda praticamente tutte le regioni italiane bagnate dal mare, per un totale di 40 aree costiere. Entro il 2100 migliaia di chilometri quadrati, oltre 5.600 km quadrati e più di 385 km di costa, “di aree costiere italiane rischiano di essere sommerse dal mare, in assenza di interventi di mitigazione e adattamento”. Sono queste le proiezioni dell’Enea, presentate a Roma nel corso del convegno “Pericolo Mediterraneo per l’economia del mare”, organizzato da Confcommercio in collaborazione con l’Enea, nel quale si è parlato di innalzamento del livello del mar Mediterraneo, dell’impatto che questo avrà sulle attività turistico-balneari e marittimo-portuali e della necessità di interventi tempestivi per la salvaguardia dei territori costieri e della blue economy. Il meeting è stata l’occasione per firmare un protocollo d’intesa sullo sviluppo sostenibile che prevede un’ampia collaborazione in settori, come l’uso efficiente delle risorse, il recupero dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) e la riqualificazione energetica.
Secondo l’Enea “entro la fine del secolo l’innalzamento del mare lungo le coste italiane è stimato tra 0,94 e 1,035 metri”, prendendo in considerazione un modello cautelativo e “tra 1,31 metri e 1,45 metri”, seguendo una base meno prudenziale. A questi valori, spiega l’Enea, “bisogna aggiungere il cosiddetto storm surge, ossia la coesistenza di bassa pressione, onde e vento, variabile da zona a zona, che in particolari condizioni determina un aumento del livello del mare rispetto al litorale di circa 1 metro”. Sommando la superficie delle 15 zone costiere già mappate, “si arriva un’estensione totale pari a una regione come la Liguria”.
Non abbiamo più tempo: il riscaldamento globale è in atto e dobbiamo fare qualcosa.