Domenica 8 novembre si sono tenute le elezioni generali in Myanmar.
La Lega nazionale per la democrazia (NLD), Il partito guidato dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ha vinto le elezioni, confermando nuovamente la maggioranza dei seggi in parlamento.
Si tratta della seconda tornata elettorale dopo la modifica della costituzione che ha messo fine al regime militare nel 2011, anche se la presenza militare sussiste tuttora. Un sistema di potere misto condiviso tra esercito birmano e istituzioni civili assicura al Tatmadaw un ruolo chiave. Tuttora il25 per cento dei seggi parlamentari viene riservato ai rappresentanti militari.
Le elezioni del 2015 e del 2020 sono due tappe importanti nella transizione da dittatura a democrazia. Entrambi gli eventi sono legati alla data dell’8 novembre e alla figura chiave di Aung San Suu Kyi, che ha portato alla vittoria della NLD. Ma nell’ultima decade lo scenario è cambiato: se il 2015 rappresenta un anno di speranza per la democrazia, dal 2016 il processo di democratizzazione subisce un arresto. L’ondata di violenza che travolge il paese mette in particolare rilievo la questione della minoranza musulmana rohingya. Il Tatamadaw ha distrutto i loro villaggi e spinto il resto della comunità verso il confine con il Bangladesh. L’accusa di genocidio mossa verso l’esercito birmano pone anche Suu Kyi nell’occhio del mirino, attirando disapprovazione a livello internazionale.
Le elezioni sono strettamente correlate con la questione delle minoranze etniche. Lo stato del Myanmar è il risultato del processo di indipendenza voluto da sette distinti gruppi etnici, tra i quali emergono i Bamar che rappresentano il gruppo dominante. Tale complessità non viene rispecchiata dal sistema elettorale del Myanmar che non è adatto a garantire una rappresentanza legislativa per le minoranze acuendo le divisioni e i conflitti interni. Il sistema elettorale first-past-the-post, infatti, favorisce i partiti più grandi, come la NLD e il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), legato alle forze militari, entrambi focalizzati sugli interessi maggioritari dei Bamar. Inoltre, alcune minoranze vedono negato il proprio diritto di voto. La revoca è legata a motivi di sicurezza a cause di conflitti accesi in alcune zone del paese, ma anche a motivi di cittadinanza. Quest’ultimo è il caso dei Rohingya, in quanto gli appartenenti a tale gruppo etnico religioso non vengono riconosciuti come cittadini. La questione della mancata rappresentanza viene sottolineata anche dal Ministro britannico del FCDO per l’Asia, Nigel Adams, che afferma: “Siamo rimasti delusi nel vedere che i Rohingya e altre minoranze sono stati nuovamente privati del diritto di voto. Le elezioni sono state cancellate in aree di conflitto senza una chiara motivazione o trasparenza. È ora fondamentale modificare le leggi sulla cittadinanza per garantire che tutti possano partecipare pienamente al processo politico del Myanmar. Esortiamo le autorità del Myanmar a garantire lo svolgimento di elezioni libere ed eque alla prima occasione nelle zone in cui sono state annullate”. Nonostante le riforme democratiche e l’inclusione etnica sembrino ancora lontane, la riconciliazione nazionale è una questione urgente e può essere ottenuta solo tramite una riforma politica che renda uguale la rappresentanza etnica, per dar voce alle esigenze sociali, politiche, culturali ed economiche di ogni minoranza. Il requisito fondamentale è dunque la rappresentanza di tutti i gruppi etnici nel governo, nelle legislature, nelle istituzioni e nella politica nazionale.
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