Il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria, ha approvato in via definitiva l’accordo stipulato col Consiglio europeo sulle nuove regole fiscali da applicare alle grandi multinazionali. Con il voto dell’11 di novembre, i parlamentari europei hanno definitivamente messo un punto a un processo legislativo durato ben 5 anni. Infatti, sebbene il Parlamento europeo avesse già adottato una raccomandazione a riguardo nel 2015 e la Commissione europea avesse avanzato una proposta nel 2016, poi appoggiata con voto favorevole nel luglio del 2017 dal Parlamento, l’opposizione di alcuni governi all’interno del Consiglio dell’UE ne hanno rallentato la discussione. Ciò ha quindi ritardato l’inizio delle negoziazioni fra gli organi legislativi, che sono iniziate solo quest’anno, per arrivare infine a un accordo provvisorio a giugno.
Le nuove regole sulla trasparenza fiscale
Le nuove regole si rivolgono alle multinazionali, e alle loro società controllate, attive in più di un paese europeo e con un fatturato superiore ai 750 milioni di Euro. Passati 20 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’UE, gli Stati Membri avranno a disposizione 18 mesi per recepire la direttiva all’interno del proprio ordinamento. Al termine di tale periodo le suddette multinazionali saranno obbligate a pubblicare, per ciascun Stato Membro in cui operano, la documentazione relativa ai profitti, all’ammontare di tasse pagate e al numero di dipendenti al proprio servizio.
Le nuove responsabilità a cui non si potranno sottrarre non finiscono qui: la direttiva richiede di rendere pubblici gli stessi documenti anche per quanto concerne alcuni paesi non appartenenti all’Unione Europea. In particolare, saranno oggetto d’attenzione le attività delle multinazionali in quei paesi che con l’UE non intrattengono rapporti collaborativi in materia fiscale e in quelli che, pur non rispettando tutti i criteri europei, si sono sottoposti a un processo di riforma.
Alcuni parlamentari avrebbero voluto regole ancora più stringenti per meglio contrastare il trasferimento di denaro verso paradisi fiscali. Un documento pubblicato dal Parlamento a gennaio 2021 mostra tuttavia che ben 6 dei 20 più grandi paradisi fiscali si trovano proprio nell’UE. La legislazione potrebbe comunque essere rafforzata in futuro. La direttiva contiene una clausola che prevede la revisione ed estensione delle regole una volta trascorsi 4 anni dalla sua entrata in vigore.
L’europarlamentare spagnolo Iban Garcìa De Blanco, che ha negoziato per conto del Parlamento, si è mostrato soddisfatto del risultato, così come la collega Evelyn Regner, e ha dichiarato che “questo è solo l’inizio del percorso e non la fine” e che “partendo da questo traguardo conquistato possiamo fare ulteriori passi in avanti”.
Uno sforzo globale
La direzione intrapresa dall’Unione Europea fa parte di un più generale sforzo a livello internazionale volto a circoscrivere lo strapotere delle multinazionali. Da tempo le principali potenze economiche del mondo discutono l’introduzione di una tassa minima globale, in modo da evitare che si creino paradisi fiscali in cui le grandi multinazionali possano nascondere i loro guadagni eludendo le imposizioni fiscali dei paesi in cui sono effettivamente attive.
Anche durante l’ultimo G20 tenutosi a Roma, i leader mondiali hanno ribadito il loro sostegno a un accordo dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) su una tassa minima globale del 15%, con l’obiettivo di una sua entrata in vigore per il 2023. La tassa sarebbe applicata anche in questo caso alle multinazionali con un fatturato maggiore di 750 milioni. Le aziende che dovessero spostare i profitti verso paesi non partecipanti all’accordo si troverebbero a pagare la differenza tra l’aliquota minima del 15% del paese di provenienza e quella pagata nello stato in cui hanno trasferito i loro interessi. Ciò dovrebbe rendere vano per le multinazionali lo spostamento delle proprie attività in altri stati.
La strada per la definizione dei dettagli dell’accordo è ancora lunga. Al momento, però, sono già state previste una serie di clausole ed eccezioni che limiterebbero la portata della tassa. In ogni caso l’OCSE si aspetta che circa 130 miliardi di Euro verrebbero recuperati dall’applicazione di questo strumento fiscale.