Le nomine dei vertici dell’Unione Europea non sono mai risultate facili: processo lungo, candidati molto diversi tra loro, tante preferenze. All’indomani delle elezioni, e dopo la composizione del nuovo Parlamento europeo, era stata portata avanti la possibilità di ricorrere al metodo dello Spitzenkandidaten (“candidati di punta”), utilizzato per la prima volta nel 2014 per la nomina dell’uscente Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker. Secondo quanto stabilito dall’art. 1 della Risoluzione del Parlamento europeo del 22 novembre 2012 (RSP), quest’ultimo “esorta i partiti politici europei a nominare candidati alla presidenza della Commissione e si aspetta che tali candidati svolgano un ruolo guida nell’ambito della campagna elettorale parlamentare, in particolare presentando personalmente il loro programma in tutti gli Stati membri dell’Unione; sottolinea l’importanza di rafforzare la legittimità politica sia del Parlamento che della Commissione instaurando un collegamento più diretto tra le rispettive elezioni e la scelta dei votanti”. La procedura “Spitzenkandidat” dunque assegna la Presidenza della Commissione al candidato principale del partito politico europeo che ha ottenuto il maggior numero di seggi al Parlamento, risultando così un metodo di maggiore democratizzazione dell’Unione Europea.
Ma la proposta di tale metodo quest’anno ha fallito: dopo aver messo fuori gioco i cosiddetti “candidati guida” previsti dal sistema, Manfred Weber (Partito popolare europeo) e Frans Timmermans (Partito socialista europeo), per le nuove nomine ci si è affidati ai procedimenti previsti dai trattati europei, rispettando il principio di equilibrio tra gli stati membri e i gruppi politici. I primi nomi a venir fuori dalle urne sono stati quelli di due donne, che ricopriranno ruoli fondamentali per il funzionamento dell’Unione: la tedesca Ursula Von der Leyen è stata eletta nuova presidente della Commissione Europea, mentre la francese Christine Lagarde sarà a guida della Banca Centrale Europea. Ministra della Difesa tedesca la prima, direttrice del Fondo Monetario Internazionale la seconda, queste due donne hanno tinto di rosa le istituzioni europee, facendo crescere la curiosità e le aspettative tra gli oltre 500 milioni di cittadini su quali risultati riusciranno ad ottenere e quali cambiamenti porteranno. Le altre cariche sono spettate invece agli uomini: il Consiglio europeo sarà guidato da Charles Michel, primo ministro belga, mentre Josep Borrell, ministro degli esteri spagnolo, ricoprirà il ruolo di Alto rappresentante per la politica estera. All’Italia è stata affidata la leadership del Parlamento europeo, il cui nuovo presidente sarà il giornalista e politico David Sassoli.
Le nomine non sono state pacifiche e non hanno raggiunto solide maggioranze: basti pensare che per l’elezione della prima presidente donna della Commissione Europea solo 9 voti in più del quorum hanno confermato la sua carica. Contro di lei soprattutto sovranisti e un cospicuo numero di franchi tiratori interni alla maggioranza che, almeno ufficialmente, è a suo favore.
Nonostante l’eterogeneità della appartenenza politica di questi protagonisti e al di là di qualsiasi aspettativa, la nuova dirigenza politica europea dovrà essere in grado di affrontare le notevoli sfide che ormai da anni infervorano le aule di Bruxelles. Come ha sottolineato Sassoli in un discorso subito dopo la sua elezione, “siamo immersi in trasformazioni epocali: disoccupazione giovanile, migrazioni, cambiamenti climatici, rivoluzione digitale, nuovi equilibri mondiali, solo per citarne alcuni, che per essere governate hanno bisogno di nuove idee, del coraggio di saper coniugare grande saggezza e massimo d’audacia”.