Nel XXI secolo i Balcani Occidentali, anche se parte dell’Europa, rimangono fuori dalla struttura unificata dell’Unione Europea. La Regione balcanica nonostante i suoi continui conflitti politici e storici ha sempre confermato il suo interesse a far parte all’UE. Le cause politiche non risolte rimarranno tali finché non ci sarà un’integrazione nella grande famiglia europea. Per i paesi Balcanici essere parte dell’UE è un sogno politico che richiede l’impegno e l’adempimento di una serie di doveri che sono stati prolungati nel tempo a causa di un processo di integrazione variato dall’UE. Il processo di allargamento dell’UE è cambiato sotto molti punti di vista, tra i quali anche l’importanza che i singoli Stati membri rivestano nella decisione.
Fino al 2004 l’ingresso nell’UE significava accettare e recepire a livello legislativo il cosiddetto acquis communautaire, cioè l’insieme di norme giuridiche derivanti dal diritto europeo. Nel 2004 Bruxelles ha richiesto ai Paesi candidati di effettuare riforme aggiuntive, in aree non coperte dall’acquis stesso. In sostanza, ai Paesi candidati venivano richieste riforme non compiute dagli Stati già membri. In particolar modo, si è posta una maggiore attenzione verso aspetti politici come il rispetto dello stato di diritto, la qualità della democrazia e la lotta alla corruzione. Questa modifica ha portato difficoltà nel comprendere quando Bruxelles fosse soddisfatta delle riforme, data l’impossibilità di rifarsi all’acquis come termine di paragone.
Inoltre l’UE, nel tentativo di correggere gli errori del passato, ha trasferito un maggiore protagonismo ai singoli Stati membri, come è successo per Francia, Danimarca e Olanda che lo scorso ottobre hanno messo il proprio veto all’ingresso dell’Albania e Macedonia del Nord. I Paesi già membri possono quindi mettere il proprio veto laddove pensano di riscontrare delle carenze particolarmente gravi, tuttavia questo cambiamento fa sì che i requisiti per i Paesi candidati diventino più stringenti e molto meno prevedibili. Il veto posto da questi Paesi membri è stato descritto come ‘grave errore storico’ dall’ex presidente della Commissione europea Jean–Claude Juncker, aggiungendo delle dinamiche strettamente politiche che rendono il caso dell’attuale adesione dei Balcani differente rispetto a quello per i Paesi candidati nel passato.
Durante la crisi pandemica l’UE ha dato un segnale di cambiamento di rotta. Il 26 marzo il Consiglio europeo ha formalmente dato inizio ai negoziati per l’accesso all’Unione europea (noti come accession talks o membership talks) alla Macedonia del Nord ed all’Albania. I due Paesi si uniscono alla Serbia e Montenegro, che stanno già negoziando con Bruxelles rispettivamente dal 2011 e dal 2012, mentre Kosovo e Bosnia-Erzegovina rimangono candidati potenziali. Questo sviluppo rappresenta un passo avanti nel processo di allargamento dell’UE che sembrava aver subito una seria battuta d’arresto negli ultimi anni. L’ultima adesione risale infatti al 2013, quando la Croazia fece il suo ingresso nell’UE.
L’allargamento ha compiuto un importante passo in avanti, ma rimane una questione controversa e problematica. Forse l’unico modo per riaffermare l’influenza europea in una zona geografica che vede sempre più interventi da parte dei Russi e dei Cinesi deve anche garantire riforme di qualità sia a livello democratico che socio-economico, per assicurare il miglioramento delle condizioni di vita e della sicurezza delle popolazioni locali.
Per maggiori informazioni: europa.eu e monitor.al