La Turchia rappresenta da sempre un partner strategico dell’Unione Europea nei suoi rapporti di vicinato verso il Mediterraneo orientale. A partire dal 2004, numerosi sono stati i tentativi di attuare il processo di allargamento nei confronti del paese che, però, sono stati affossati dai veti degli Stati membri finché, nel 2014, il procedimento è stato decretato ufficialmente in stallo a causa della proposta di revisione costituzionale fatta dal presidente Erdogan. La trasformazione dello Stato turco in una Repubblica presidenziale (ufficializzata dal referendum dell’aprile 2017) ha segnato l’inizio dell’involuzione del paese verso un regime autoritario in cui il rispetto dei diritti politici e civili sembra essere passato di moda.
Da questo momento, le relazioni tra UE e Turchia si sono concentrate sui rapporti economici e sulla gestione della crisi dei migranti provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia centrale. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’Unione rappresenta il principale partner commerciale della Turchia per l’esportazione dei propri beni nel mercato comune. In riferimento alla gestione dei flussi migratori, l’UE porta avanti tramite l’alleato turco la propria politica di esternalizzazione delle frontiere che è stata formalizzata con la stesura dell’UE-Turkey Joint Action Plan del 2016. Tuttavia, l’accordo non è stato sufficiente a garantire il rispetto dei diritti umani nei confronti dei migranti presenti nel paese (soprattutto profughi siriani) ed è stato spesso utilizzato dalla Turchia come strumento di pressione geopolitica nei confronti dell’Europa. Una manifestazione di questo atteggiamento è avvenuta nell’estate del 2020 quando il governo turco decise unilateralmente di riaprire temporaneamente i confini verso la Grecia causando lo spostamento di migliaia di persone tramite valichi terrestri e marittimi poco sicuri.
Oltre alle persecuzioni nei confronti migranti, il governo Erdogan continua ad imporre delle limitazioni alle libertà di espressione, associazione ed assemblea nonché arresti arbitrari di oppositori politici ed attivisti dei diritti umani. In questo senso, la decisione di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul – istituita dal Consiglio d’Europa come primo strumento giuridicamente vincolante per combattere la violenza di genere – annunciata il 20 marzo 2021 ha dimostrato lo spirito conservatore del governo turco e provocato lo scoppio di numerose proteste da parte dei movimenti femministi e della comunità LGTBQ+. Un’ulteriore conferma di questa presa di posizione nei confronti della tematica di genere è arrivata dal “sofagate” nei confronti di Ursula Von der Leyen durante l’incontro ufficiale con il presidente Erdogan del 7 aprile scorso.
Nonostante tutto questo, l’andamento positivo sottolineato nella relazione congiunta della Commissione e del Consiglio UE pubblicata a Marzo 2021 sullo stato di avanzamento dei rapporti politici, economici e commerciali tra UE e Turchia manifesta la volontà di portare avanti una politica di buon vicinato con il paese. Tuttavia, diversi bandi della Commissione continuano a rivolgersi alla promozione dei diritti umani ed al sostegno alla società civile all’interno dello Stato turco.