Con la sentenza resa il 10 giugno nel Caso CF, DN c. Bundesrepublik Deutschland (causa C‑901/19), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ribadisce la necessità di uniformare la giurisprudenza degli organi giurisdizionali degli Stati membri in materia di politica comune di asilo.
Dopo il rifiuto dell’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati tedesco delle loro domande di asilo, due civili afgani originari della provincia di Nangarhar hanno adito il Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg chiedendo che la Germania concedesse loro protezione sussidiaria, un tipo di protezione internazionale destinata a richiedenti asilo non qualificati come rifugiati. Ciò in ragione del rischio di subire un grave danno in caso di rimpatrio, come la pena di morte, la tortura, la minaccia alla vita o alla persona dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.
Quest’ultimo ha chiesto alla CGUE di chiarire i criteri di concessione di tale protezione, così come stabiliti all’art. 15 lettera c) della Direttiva 2011/95/UE, che al fine di garantire il godimento di un livello minimo di diritti in tutti gli Stati membri, mira a identificare i cittadini di paesi terzi o gli apolidi, non aventi alcuna cittadinanza, che hanno bisogno di protezione internazionale in UE.
L’incompatibilità del modello tedesco
Secondo il Tribunale tedesco, l’accertamento dell’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona in conflitti armati sarebbe subordinato ad un criterio quantitativo dato dal rapporto tra il numero di vittime nella zona interessata e il numero totale di individui della sua popolazione. Se il risultato ottenuto non raggiunge un livello minimo, non sarebbe necessaria un’ulteriore valutazione dell’intensità del rischio, e perciò, le domande di protezione sussidiaria dei ricorrenti dovrebbero essere respinte.
La CGUE dichiara l’interpretazione tedesca incompatibile con la Direttiva 2011/95. Lo status di protezione sussidiaria dovrebbe, invece, essere riconosciuto a qualunque cittadino di un Paese terzo o all’apolide che, in caso di rimpatrio, per la sua sola presenza sul territorio, corra un rischio effettivo di subire un grave minaccia alla propria vita.
Pertanto, è richiesto al Tribunale tedesco un esame complessivo che consideri l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti e della durata del conflitto, l’estensione geografica della violenza indiscriminata, la destinazione effettiva del richiedente in caso di rinvio nel Paese e nella regione, e l’aggressione nei confronti di civili da parte dei belligeranti.
L’urgenza di uniformare la giurisprudenza dell’Ue
Uno degli scopi della Direttiva è di assicurare che tutti gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, e ciò risulta più urgente anche alla luce degli ultimi scenari geopolitici. Tale sentenza intende infatti prevenire un pericolo, quale l’applicazione sistematica, da parte di uno Stato membro, di un unico criterio quantitativo che può indurre le autorità a negare la concessione della protezione internazionale, violando i propri obblighi.
Infine, una tale interpretazione potrebbe spingere i richiedenti protezione internazionale a recarsi negli Stati membri non applicanti il criterio di una determinata soglia di vittime. Ciò potrebbe incoraggiare il “forum shopping”, secondo cui più ordinamenti hanno la possibilità di attribuirsi la competenza a giudicare, eludendo la Direttiva 2011/95.
Una politica di asilo comune, al contrario, contribuisce a limitare il movimento secondario dei richiedenti protezione internazionale tra gli Stati membri, quando tale movimento sia dovuto alla diversità dei quadri giuridici nazionali.