A seguito della diffusione del Coronavirus la Commissione Europea, ed in particolare l’Horizon 2020 Expert Group to update and expand “Gendered Innovations/Innovation through Gender”, ha condotto, tramite i risultati dei progetti finanziati dal programma Horizon 2020, uno studio sull’impatto che hanno il sesso ed il genere nell’attuale pandemia da Covid-19. Scopo della ricerca è quello di analizzare come lo studio sul sesso e sul genere possa stimolare l’innovazione e aiutare a rispondere meglio ai bisogni sociali, aprendo nuove prospettive e contribuendo alla creazione di una società più egualitaria.
Il report della ricerca “The impact of sex and gender in the COVID-19 pandemic – Case Study” evidenzia che, sebbene le malattie infettive possano colpire chiunque indistintamente, il sesso ed il genere possono invece avere un impatto significativo sulle risposte immunitarie e sul decorso della malattia. Nel caso del Covid-19, dalle statistiche è emerso che a morire a causa dell’infezione sono maggiormente gli uomini, mentre le donne al contrario risentiranno molto di più delle conseguenze sociali, economiche e sanitarie a lungo termine, soprattutto in termini di disoccupazione, doveri assistenziali e disuguaglianze sociali. I fattori sociali, infatti, comportano che le donne abbiano maggiori probabilità di contrarre la malattia nel lungo termine proprio a causa delle differenze occupazionali (ad esempio le professioni di servizio, compresa l’assistenza sanitaria, in cui sono tipicamente impiegate le donne) della divisione del lavoro e dei diversi compiti nelle famiglie e nelle comunità. Se dunque da un lato è importante considerare le differenze di sesso nell’immunologia e nella risposta alle terapie che possono aiutare a chiarire i percorsi specifici della malattia, dall’altro è altrettanto importante considerare le dimensioni di genere della pandemia per mitigare le disuguaglianze acute e a lungo termine che derivano dalle sue conseguenze socioeconomiche.
Ad approfondire lo studio sulla disuguaglianza tra donne e uomini in ambito sanitario se n’è occupato l’EIGE (European Institute for Gender Equality) che ha sviluppato anche uno specifico filone di ricerca dal titolo “Covid-19 and gender equality” e che nel 2021 dedicherà un focus sulla salute nel Gender Equality Index. Gli aspetti più rilevanti della ricerca condotta dall’Eige evidenziano che, sebbene le donne abbiano meno probabilità di assumere comportamenti a rischio per la salute (come, ad esempio, fumare o bere alcol) e di conseguenza di contrarre malattie o disabilità, esse però tendono a presentare molto di più le cosiddette malattie “invisibili”, che troppo spesso non godono di adeguati riconoscimenti da parte del servizio sanitario. In particolare sono la depressione e l’ansia, i disturbi alimentari e le disabilità legate agli incidenti domestici o alle violenze sessuali a colpire un numero sempre maggiore di donne e a comportare conseguenze sempre più gravi per la loro salute, il più delle volte mentale.
La differenza tra uomini e donne si riproduce però anche sul piano dell’accesso ai servizi sanitari. Il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali stabilisce che l’uguaglianza di genere è una priorità per l’Unione Europea e che l’accesso ad una assistenza sanitaria tempestiva, accessibile e di buona qualità è un diritto sociale. Tuttavia, gli stereotipi sul genere e le diseguaglianze socioeconomiche continuano ad avere un forte impatto sulle possibilità di accesso a determinati servizi sanitari, in particolare i servizi di prevenzione e di cura. Questa situazione di vulnerabilità è tipica delle donne con un basso reddito o un basso livello di istruzione, di quelle di origine etnica o migranti, donne con disabilità o anziane ed infine persone LGBTQI. Si prenda come esempio il diabete: tanto le donne quanto gli uomini sono soggetti al rischio di contrarre la malattia, eppure i tassi più elevati di mortalità si registrano proprio tra le donne con un più basso livello di istruzione rispetto agli uomini con simile background, spesso a causa di livelli di qualità delle cure più scarsi. Ciò si ricollega in parte alle sfide legate alla scarsa rappresentanza dei soggetti femminili nella ricerca clinica e all’uso di genere dei servizi sanitari. Se, dunque, è evidente che in Europa mancano delle strategie efficaci per stabilire parità di genere in campo sanitario, al contrario invece l’UE molto si è spesa per aumentare l’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva delle ragazze e delle donne che vivono oltre i confini europei (si veda a titolo di esempio il EU Gender Action Plan 2016-2020).
L’insufficiente sensibilità di genere nella ricerca medica e nell’assistenza sanitaria non è forse poi così sorprendente data la sottorappresentazione delle donne nella governance sanitaria, nel processo decisionale e in alcune professioni. Per questi motivi l’EIGE ha posto una serie di raccomandazioni ai principali policymakers europei con cui suggerisce di riformulare la strategia in atto. In primo luogo, si raccomanda di riconoscere la diversa misura in cui le epidemie colpiscono donne e uomini tale da comprenderne gli effetti e creare politiche ed interventi efficaci, giusti ed equi e di incorporare l’analisi di genere nella preparazione e nella risposta istituzionale. In secondo luogo, si propone di aumentare la rappresentanza delle donne nella governance della salute, permettendo loro di prendere decisioni importanti e di dare loro la possibilità di accedere a posizioni professionali rilevanti in ambito medico-sanitario (ad esempio ricercatore, professore).