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Il Libano implode: gli effetti dell’esplosione a Beirut

Esplosione a Beirut

La catastrofica esplosione di Beirut è ancora avvolta da un fitto alone di mistero. Sono tanti i dubbi sulle dinamiche e sulle responsabilità dell’incidente, ma ciò che appare chiaro è che questo evento ha inferto il colpo di grazia ad un Paese già in ginocchio, devastato dalle divisioni politiche e sociali e dalla galoppante crisi economica, minando, forse definitivamente, i fragili equilibri nazionali ancora esistenti e causando drastici effetti sul contesto nazionale e sulle relazioni geopolitiche regionali e internazionali. 

Il primo e più immediato effetto sarà economico: Il Paese dei Cedri, già prima della tragedia, si trovava a fronteggiare la più grave crisi economico-finanziaria dall’epoca della guerra civile, che ha portato, lo scorso 7 marzo, all’annuncio del suo primo default. Tale crisi è andata aggravandosi negli ultimi mesi a causa del Covid-19 e del conseguente lockdown che ha portato alla chiusura di innumerevoli attività e all’aumento del tasso di suicidio tra la popolazione. È proprio in questo contesto che si inserisce la tragedia del 4 agosto. La distruzione del porto di Beirut, considerato uno dei punti nevralgici del Mediterraneo, renderà quasi impossibile l’importazione di beni di prima necessità, carburante e aiuti, e la sua chiusura nei prossimi mesi avrà un enorme impatto anche sul settore occupazionale e sulle entrate derivanti dai transiti. Inoltre, la distruzione dei silos, installati vicino al porto libanese e contenenti l’85% delle riserve di cereali, ha messo in guardia anche la FAO la quale teme “che si ponga a breve termine un problema di disponibilità di farina in Libano, problema inasprito dal notevole aumento dei prezzi dei generi alimentari, dall’impoverimento della classe media e dal fatto che il Paese importa fino all’80% del proprio fabbisogno alimentare.

Inoltre, il tragico evento ha portato allo scoppio di una nuova ondata di proteste tra la popolazione libanese, sempre più determinata a imporre un programma di riforme e un drastico cambiamento nel sistema politico-istituzionale. Nelle giornate dell’8 e il 9 agosto decine di migliaia di cittadini si sono diretti davanti al Parlamento per commemorare i circa 160 morti e 5000 feriti e per condannare impetuosamente la negligenza e la corruzione che da sempre contraddistinguono le élites di governo nazionale. Le proteste hanno portato a violenti scontri con la polizia e all’occupazione da parte di alcuni manifestanti di numerosi ministeri tra cui quello del Lavoro e degli Affari esteri. Tali eventi hanno portato, in un primo momento, alle dimissioni della ministra dell’Informazione Manal Abdel-Samad e del responsabile del dicastero dell’Ambiente Damianos Kattar, entrambi favorevoli ad un concreto cambio di paradigma nel sistema politico vigente e nella giornata di ieri a quelle del Primo Ministro libanese, Hassan Diab e di tutto l’esecutivo, sostenendo: “La corruzione in Libano è più forte dello stato”.

A seguito della tragedia del 4 agosto, si è attivata rapidamente una fitta rete di solidarietà internazionale a sostegno della popolazione libanese. Purtroppo, però, non è tutto oro ciò che luccica. Infatti, nonostante molti Stati si siano dichiarati pronti ad aiutare il Libano con ogni mezzo, viene difficile credere che si tratti di una beneficenza disinteressata, quanto piuttosto di un nuovo standard di competizione strategica, già sperimentato durante l’emergenza Covid: “la geopolitica degli aiuti”, che punta a fare del Libano una nuova arena di competizione nell’area mediterranea. Il rischio futuro è dunque che gli aiuti vengano utilizzati dalle potenze regionali e non solo come cavallo di Troia, al fine di influenzare o addirittura sostituirsi al governo nazionale, demolendo, forse definitivamente, la già debole sovranità libanese.