“Il programma del nuovo governo è un’ulteriore esplicazione della forte discontinuità politica espressa dalle elezioni di marzo? O sono piuttosto segni di un’attrazione al continuismo, anche più radicale?”, queste sono le domande provocatorie poste dal Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, all’inizio degli incontri di “Un Mese di Sociale: per una cultura del governare”, l’iniziativa fondazionale dedicata alla condivisione dell’interpretazione macrosociologica del Paese.
Gli interrogativi nascono da una riflessione socio-politica che guarda alle attuali modalità di fare politica interpretate alla luce della storia del paese; sugli esempi più noti degli anni ’60, quando politici di rilievo puntavano le loro campagne e lotte sulla novità e sulla dimostrazione di essere “diversi dagli altri” anche con una certa sfrontatezza e aggressività. Una storia che induce a pensare che anche la nuova compagine politica ricalca atteggiamenti passati e forse più “continuisti di quanto essi stessi pensino”.
Il dibattito intorno alle tematiche sulla cultura del governare si è articolati in tre incontri ai quali hanno partecipato esponenti del mondo politico, sociale ed istituzionale tra cui Luciano Violante (Presidente Italiadecide), Mario Sechi (giornalista), Giovanni Legnini (Vicepresidente Consiglio Superiore della Magistratura), Innocenzo Cipolletta (Presidente Assonime), Antonio Calabrò (Direttore Fondazione Pirelli e Vicepresidente Assolombarda), moderati dal direttore generale della Fondazione Massimiliano Valerii ed introdotti dalle intuizioni del presidente Giuseppe de Rita, autore della pubblicazione dedicata all’evento.
L’obiettivo è stato quello di analizzare le variabili considerate fondamentali per governare oggi, alla luce delle scelte politiche attuali e ponendo l’attenzione sul coinvolgimento dei cosiddetti “soggetti sociali”. Le linee-guida offerte dal Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) in relazione all’equipaggiamento necessario per affrontare le azioni politiche (dunque sociali) attuali.
In primis “avere una visione ed una cultura della lunga durata”, senza cadere nel tranello della sbrigativa attuazione dei programmi per ottenere consenso, prevedendo delle “azioni politiche incardinate nei processi reali del paese” ed incoraggiando quei mercati che producono una crescita socio-economica significativa. Una programmazione a lungo termine che dovrebbe confermata dalla partecipazione sociale dei soggetti inseriti nel processo di crescita dell’Italia”, attraverso nuove forme di aggregazione intermedia che possano superare i limiti della tradizionale mobilitazione collettiva, oggi in crisi, ma che possa comunque sostenere il dialogo tra le parti sociali in gioco.
In relazione all’attuale tendenza alla delegittimazione dell’establishment ed il progressivo avvicinamento a forme di democrazia diretta che riducono notevolmente l’utilizzo di gruppi tecnici di lavoro per decifrare i complessi problemi della società, l’allarme è che il fenomeno possa implicare difficoltà di interpretazione corretta dei processi di globalizzazione per attuare preventive strategie di adeguamento. Pertanto, la legittimazione di un establishment, anche se rinnovato, risulta pertinente e qualitativamente necessario, al contrario di chi lo considera una modalità di potenziamento delle “casta”.
Infine si è voluto fare luce sulla composizione dei soggetti appartenenti al settore economico italiano che mostra, già da tempo, il proliferare di tanti enti sociali, soprattutto appartenenti al mondo del Terzo settore. Il loro impegno e contributo all’economia del paese, richiede una legittimazione che dovrà seguire, necessariamente, anche un definito riconoscimento politico dei soggetti sociali.
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