Con l’adozione della decisione PESC 2020/1999 dello scorso dicembre, l’Unione Europea si è dotata per la prima volta di un regime globale di sanzioni in materia di diritti umani. La prima importante azione nell’ambito di questo nuovo regime è stata intrapresa lo scorso 22 marzo quando il Consiglio europeo ha adottato all’unanimità sanzioni contro 15 funzionari governativi cinesi, le prime dopo la strage di Piazza Tiananmen del 1989, dichiarandoli colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani della minoranza uigura e kazaka in Xinjiang.
Gli avvertimenti della Comunità Internazionale
Si tratta di un’azione coordinata con gli Stati Uniti d’America, il Canada e il Regno Unito. Già nel 2018 L’Alto Rappresentante Federica Mogherini notificò le presunte violazioni dei diritti umani degli uiguri e dei kazaki da parte della Repubblica Popolare Cinese al Parlamento Europeo.
Sull’altra sponda dell’oceano atlantico, nel 2020 il Senato statunitense approvò lo Uyghur Human Rights Policy Act, firmato dall’ex Presidente Donald Trump, secondo il quale gli organi di governo statunitensi avrebbero dovuto monitorare e presentare rapporti sulla situazione dei diritti umani in Xinjiang, sulla base dei quali avrebbero apportato eventuali sanzioni. Lo scorso 19 gennaio gli USA hanno infine accusato Pechino di genocidio e crimini contro l’umanità.
Il Canada è stato il secondo Stato a denunciare il genocidio degli uiguri, minacciando la Cina di cancellare le Olimpiadi invernali 2022 a Pechino, seguito dal sostegno del Regno Unito.
Il motivo dell’illecito internazionale cinese
La popolazione turco-musulmana della regione autonoma cinese Xinjiang sta subendo gravi soprusi da parte del governo centrale. Human Rights Watch, con l’avvio della “politica di rieducazione” statale nel 2014, ha constatato la costruzione di campi detentivi volti ad indottrinarne i membri della minoranza, costretti ad accogliere l’ideologica socialista a costo della tortura o della pena di morte. La RPC invierebbe anche emissari del governo in ogni famiglia, al fine di denunciare i comportamenti non conformi.
Una decisione rivoluzionaria
La novità della decisione dell’Ue consiste nella previsione di sanzioni economiche volte a regolare le autorità di frontiera con la Cina, quali il divieto di ingresso e transito negli Stati membri e il congelamento dei beni.
Si tenga presente che le diverse convenzioni internazionali in materia di diritti fondamentali dell’Ue ratificate anche dalla Cina, come quella per l’eliminazione e prevenzione del crimine di genocidio del 1948 e quella contro la tortura e trattamenti disumani e degradanti nel 1984, hanno effetti giuridici intra-statali e non tra uno Stato e la sua popolazione.
La reazione europea sarebbe tuttavia lecita a motivo di una recente evoluzione del diritto internazionale, concretizzatasi nel progetto di articoli “Il regime di responsabilità aggravata degli Stati” della Commissione Onu del Diritto internazionale approvato dall’Assemblea generale nel 2001: uno Stato può essere ritenuto responsabile per gli obblighi erga omnes, tra cui rientra il divieto di genocidio, in quanto rappresentano l’interesse collettivo della Comunità internazionale. In base agli artt. 48 e 54 all’Ue è permesso reclamare la cessazione immediata del fatto illecito, nonché porre sanzioni contro il Paese violatore.
La Cina sarebbe quindi responsabile di genocidio, mentre l’Ue si prefigura “parte lesa”.
La risposta della Cina
La Cina non ha mai ammesso la commissione di tali crimini, giustificando la propria politica interna come necessaria ad arginare i movimenti separatisti, violenti ed estremisti da parte della minoranza uigura nel Xinjiang, i cui membri farebbero parte dell’organizzazione terroristica East Turkestan Islamic Movement(ETIM). La RPC ha quindi sanzionato con il divieto di ingresso nel Paese dieci personalità politiche e quattro entità europee, sotto l’accusa di ingerenza negli affari interni del governo e di disseminazione di informazioni false.
Verso un nuovo sistema internazionale di protezione dei diritti umani?
Con la decisione Ue, sembrerebbe avere inizio una nuova era della tutela internazionale dei diritti umani, dove l’intera Comunità degli Stati si delinea portatrice di interessi collettivi. Benché non siano previste conseguenze penali sul piano delle responsabilità statali, il sanzionamento e il coordinamento tra Ue, Usa, Canada e UK contro Pechino sembrerebbe un’evoluzione interessante che fa sì che neppure la Cina, paladina indiscussa del principio di non interferenza nella sovranità statale, sia immune dal rispondere alle gravi violazioni che essa commette.