Correva l’anno 1990, quando il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), instituito dall’UNEP[1] e dall’WMO[2] nel 1988, pubblicò il First Assessment Report (FAR) sul ruolo dei gas serra nel determinare i cambiamenti climatici. Tale Rapporto sottolineava l’importanza del riconoscere i cambiamenti climatici come una sfida di interesse mondiale, che, ancora oggi, necessita una solida e lungimirante cooperazione internazionale. Il FAR ed il successivo SAR (Second Assessment Report), pubblicato nel 1995, hanno avuto un ruolo decisivo, rispettivamente, nella realizzazione dell’UNFCCC[3] e nell’adozione del Protocollo di Kyoto. I Report più recenti, AR4 e AR5, hanno invece contribuito al raggiungimento di un accordo post-Kyoto, finalizzato alla limitazione, entro 2° C, dell’aumento della temperatura terrestre, e all’Accordo di Parigi.
A quasi 30 anni dalla pubblicazione del FAR, i Report dell’IPCC mantengono una risonanza mondiale e vengono sempre più richiamati dai rappresentanti delle istituzioni, così come dai più recenti movimenti per un futuro sostenibile, primo tra tutti il Friday For Future. Questo movimento politico apartitico sta mobilitando milioni di giovani in tutto il mondo, ovvero i primi diretti interessati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Studenti, famiglie ed istituzioni sembrano essere dalla stessa parte, spinti dalle preoccupazioni per gli scenari prospettati, in assenza di adeguate politiche di riduzione delle emissioni, di conversione delle fonti energetiche e di adattamento, e dal riconoscere che quanto finora fatto a livello internazionale non è sufficiente a garantire un futuro sostenibile.
Il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), Knowledge for a sustainable Europe, pubblicato lo scorso settembre, identifica il raggiungimento della sostenibilità, in tutte le sue dimensioni, come la sfida del XXI secolo. Gli sforzi europei, declinatisi nella ricerca dell’efficienza energetica e in un maggiore utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, hanno garantito una riduzione delle emissioni di gas serra di circa un quarto rispetto al 1990, mentre i trasporti rimangono ancora una delle principali questioni da affrontare in vista della decarbonizzazione dell’economia. Entro il 2030, l’Europa dovrà ridurre le proprie emissioni del 40%, rispetto ai livelli del 1990, per poi passare al quasi azzeramento delle stesse nel 2050. Tuttavia, nonostante ci siano state importanti riduzioni delle emissioni negli ultimi anni, i dati attuali prospettano ampie differenze tra gli obiettivi ed i risultati previsti al 2030. Infatti, stando al recente report dell’EEA, solamente Croazia, Grecia, Slovacchia, Svezia ed Ungheria sembrano aver intrapreso la giusta rotta al fine di conseguire gli obiettivi prefissati. L’impegno per il clima è certamente una priorità di ogni Stato membro che, se non mantenuto nel lungo periodo, può determinare effetti irreversibili nelle varie macroregioni. Nel caso specifico dell’area mediterranea, le conseguenze del cambiamento climatico includono una riduzione delle precipitazioni e delle correnti fluviali; un maggiore rischio di siccità, di perdita della biodiversità e di incendi boschivi; un aumento della competitività nell’utilizzo delle risorse idriche; un aumento della domanda di acqua in agricoltura; una riduzione della resa delle colture e maggiori rischi per gli allevamenti; un aumento delle morti causate da ondate di calore; un potenziale calo della produzione di energia; una maggiore vulnerabilità agli effetti del cambiamenti climatici nei Paesi non europei.
“Voglio un’Europa che punti a traguardi più ambiziosi e ad essere il primo continente a impatto climatico zero”. Queste le parole che hanno accompagnato la promessa di un Green Deal europeo, riportate nel Programma presentato da Ursula von der Leyen, per le quali non rimane che auspicare una rapida conversione in realtà e vanto per il Vecchio Continente.
Link utili:
[1] United Nation Environment Programme
[2] World Meteorological Organization
[3] United Nation Framework Convention on Climate Change