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Digital divide e povertà educativa

Digital divide e povertà educativa

Più del 12% dei minori in Italia non ha un computer o un tablet, percentuale che arriva al 20 % al Sud. Quanto è emerso dagli ultimi dati ISTAT è l’ulteriore conferma di come il Covid-19 abbia aggravato le disuguaglianze sociali preesistenti. La necessità di colmare il gap creato dal digital divide si è resa evidente in seguito alla chiusura delle scuole e al ricorso obbligato alla didattica online, ma è parte di un problema più grande, la povertà educativa.

La povertà educativa è la condizione di privazione rispetto alle opportunità educative in senso ampio, dall’istruzione tradizionale alle attività ludico-ricreative e per questo è difficile trarne un indicatore sintetico. Ciò che è certo è che la povertà educativa è strettamente correlata alla povertà assoluta, che in Italia è inversamente proporzionale all’età, più si è giovani e più è probabile non potersi permettere le spese minime per condurre una vita accettabile.

Dal secondo Rapporto sulla povertà educativa minorile in Italia del 2019 (https://www.conibambini.org/wp-content/uploads/2018/10/Report-2019.pdf), emerge che la percentuale di minori in povertà assoluta è triplicata rispetto al 2005, passando dal 3,9% al 12% colpendo 1,2 milioni di minori. Inoltre vi è una forte correlazione tra povertà e bassa scolarizzazione, dimostrata dal raddoppiamento dell’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie in cui gli adulti di riferimento non hanno il diploma.

Questa relazione è aggravata dalla scarsa mobilità della società italiana, che rende spesso la povertà educativa, cosi come quella economica, ereditaria. A causa del mancato funzionamento del cosiddetto ascensore sociale, risulta che 2/3 dei bambini con i genitori senza diploma mantengano lo stesso livello d’istruzione, rispetto a una media Ocse del 42%. Parallelamente, ad un bambino che nasce in una famiglia a basso reddito in Italia potrebbero servire 5 generazioni per raggiungere il reddito medio.

Cosi come sottolineato dalla Banca Mondiale nel rapporto “Poverty and shared prosperity 2018“, la povertà è un fenomeno multidimensionale e quindi devono essere molteplici anche le misure per contrastarla. Una di queste è senz’altro investire nell’istruzione e garantire a tutti l’accesso ad un’educazione di qualità. Secondo i dati Eurostat, l’Italia risulta essere agli ultimi posti nell’Unione Europea per spesa in istruzione, con un investimento pari al 3,9% del PIL, sotto la media europea del 4,7 e superiore solo a Slovacchia, Romania, Bulgaria e Irlanda. Dalla parte opposta della classifica si trovano, con quasi il 7% di investimento, Danimarca e Svezia.

Il carattere prioritario della lotta alla povertà educativa è evidenziato anche dal Rapporto ASviS 2019, che analizza l’avanzamento dell’Italia verso il raggiungimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.  Nella sezione dedicata all’Obiettivo 4: Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti, nonostante un netto miglioramento su molti aspetti, emerge che permangono ancora forti disuguaglianze tra le regioni italiane e che vi è un peggioramento nel tasso di abbandono scolastico il quale, in controtendenza con gli anni precedenti, si attesta al 14%.

Per quanto riguarda l’accesso ai servizi per la prima infanzia, l’Unione Europea ha adottato, a partire dal 2000, una strategia di potenziamento in materia, dovuta sia dalla rivalutazione della funzione educativa degli asili nido, che dalla correlazione degli stessi con l’obiettivo di innalzamento dell’occupazione femminile. In particolare, il Consiglio di Barcellona del 2002 aveva indicato ai Paesi membri due obiettivi da raggiungere: permettere l’accesso ai servizi per l’infanzia ad almeno il 33% dei bambini/e sotto i 3 anni e ad almeno il 90% di quelli tra i 3 e i 5 anni. L’Italia ha superato il secondo obiettivo, ma relativamente all’offerta per i bambini sotto i 3 anni mancano ancora 10 punti per raggiungere quanto stabilito dall’Unione, nonostante il notevole calo di bambini nella fascia d’età 0-2 anni registrato tra il 2011 e il 2018 (-16,70%).

In questo contesto la crisi sanitaria, che ha costretto a casa il 72,4% della popolazione studentesca mondiale, ha impattato negativamente sulla povertà educativa, portando in primo piano una questione preesistente, il digital divide. Per divario digitale si intende la diversità di accesso agli strumenti di connessione alla rete, quasi sempre provocato da mancanza di risorse economiche e/o di competenze digitali.

Nonostante il ricorso obbligatorio alla Didattica a Distanza (D.aD) come unico strumento di accesso all’istruzione scolastica abbia evidenziato, ora più che mai, la necessità del diritto all’uso di internet, già a partire dagli anni Novanta del secolo scorso si inizia a discutere di quella che sarebbe diventata una nuova disuguaglianza sociale. Riguardo ad internet alla stregua di un diritto fondamentale dell’uomo, nel Rapporto ONU sulla promozione e la protezione del diritto di opinione del 2011 viene sottolineato che: “l’accesso ad Internet è un mezzo indispensabile per la realizzazione di una serie di diritti umani, combattendo l’ineguaglianza e accelerando lo sviluppo e il progresso dei popoli”.

Il quadro italiano sul divario digitale, emerso dalle statistiche ISTAT di Aprile 2020 non è rassicurante, considerando che 8 milioni di minori non stanno frequentando la scuola in vivo. Nel biennio di riferimento 2018-2019, è stato rilevato, infatti, che il 33,8% delle famiglie italiane non ha computer o tablet in casa. La quota sale al 41,6% nel Mezzogiorno, con la percentuale più alta in Calabria con il 45%. Il 12,3% dei ragazzi tra i 6 e i 17 anni non ha un device per accedere alla didattica online e il 57% di chi ne ha uno, deve condividerlo con gli altri.

Risulta, inoltre che il 41,9 % dei minori in Italia vive in situazioni di sovraffollamento abitativo, condizione ancora più svantaggiosa in tempi di lockdown. Per quanto riguarda le competenze digitali, nonostante il diffuso uso di internet da parte dei minori italiani, meno di tre su 10 hanno competenze digitali che si attestano su livelli alti.

È indubbio che il sistema scolastico italiano è arrivato impreparato alla crisi attuale, date le sue storiche carenze in materia di digitalizzazione, inclusa la preparazione stessa dei docenti in materia, e la tendenza a disinvestire sull’istruzione pubblica. Questo momento storico potrebbe però rappresentare un’opportunità per un’inversione di rotta, sviluppando un effettivo piano per incrementare i fondi destinati a fornire strumenti e competenze digitali, e finanziando un rinnovamento del sistema scolastico che vada oltre la logica emergenziale dettata dalla pandemia e che torni a pensare il sistema educativo come uno dei pilastri fondamentali dello sviluppo del Paese.

 

 

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