Il Presidente Jair Messias Bolsonaro, in carica dal 2018, è senza dubbio uno dei personaggi più discussi e controversi della politica internazionale contemporanea. Spesso associato alla figura di Donald Trump, è conosciuto in tutto il mondo per le sue dichiarazioni sessiste, omofobe e razziste, per gli scandali e per le sue politiche ultraconservatrici e classiste. In questo periodo di pandemia, però, molti analisti hanno iniziato a parlare di una crisi politico-istituzionale che potrebbe portare al crollo dell’era Bolsonaro.
Sono molte le ragioni che spiegherebbero questo fenomeno ma, prima tra tutte dobbiamo ricordare la gestione fortemente criticata della crisi pandemica nel Paese latino-americano. Il Brasile, infatti, è tra le poche nazioni al mondo a non aver introdotto il lockdown a livello federale, nonostante l’alta densità di popolazione che caratterizza le sue innumerevoli metropoli. Il presidente brasiliano, descritto da molti come un irresponsabile, ancora oggi nega la pericolosità del virus, screditando l’intera comunità scientifica e le istituzioni internazionali, tra cui l’OMS.
Lo stesso Donald Trump, che ricordiamo aver suggerito qualche giorno fa l’uso di iniezioni di disinfettanti come antidoto al virus, ha riconosciuto la gravità della situazione brasiliana, dichiarando “Il presidente brasiliano è mio amico, un ottimo uomo, ma stanno vivendo un momento molto difficile”.
Infatti, la situazione sanitaria in breve tempo è peggiorata notevolmente e il 28 di aprile, il Brasile, secondo i dati ufficiali, avrebbe superato la Cina per numero di morti da coronavirus (circa 6006, contro i 4643 cinesi). Date le condizioni di miseria in cui riversa una larga percentuale della popolazione brasiliana e data la difficoltà nella realizzazione dei test, è chiaro che i dati ufficiali siano sottostimati rispetto alle reali condizione sanitarie del paese e non rivelino il reale tasso di letalità del covid-19. Inoltre, secondo uno studio condotto dall’Imperial College di Londra, il Brasile oggi presenta il più alto tasso di contagio al mondo, ogni paziente, infatti, ne infetterebbe 2.8. Se tali stime si rivelassero reali, si raggiungerebbero in poco più di una settimana gli stessi livelli registrati nel nostro Paese durante il periodo del picco, con una differenza sostanziale, però, nella qualità del sistema sanitario pubblico.
Oggi, nonostante il Brasile sia una vera e propria bomba pronta ad esplodere, il presidente Bolsonaro sembra più interessato a sbarazzarsi dei suoi alleati più scomodi. Nell’ultimo mese, infatti, ha licenziato Mauricio Valeixo, capo della polizia federale, con la probabile finalità di ostacolare le indagini che vedono coinvolti i suoi figli per la diffusione di fake news, legami con la mafia brasiliana, corruzione e per l’assassinio della parlamentare e attivista Marielle Franco.
Questo licenziamento ha scatenato l’indignazione di molte personalità politiche di spicco dell’amministrazione Bolsonaro tra cui il popolarissimo Sérgio Moro, Ministro della Giustizia, il quale il 24 aprile ha deciso di dimettersi per difendere la propria reputazione e per mantenere alto il suo impegno contro la corruzione nel Paese.
Stessa sorte di Valeixo era già toccata precedentemente al Ministro della Salute Luiz Mandetta, il quale aveva più volte dichiarato di avere posizioni diametralmente opposte rispetto a Bolsonaro in merito alla gestione della crisi pandemica e durante un’intervista aveva avvisato: “non sta licenziando me, sta licenziando la scienza”
Insomma, oggi il mondo affronta uno dei momenti più bui della storia del XXI secolo, dal quale ancora non si sa quando e come se ne uscirà. Ciò che appare chiaro, però, è che il coronavirus ha diviso le coscienze politiche, in bilico tra prudenza e incoscienza, tra salute e denaro, tra collettività e individuo e il Brasile, ora, dovrà compiere la sua scelta.